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Sa Femina Accabadora

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Leggenda e realtà dell' " Accabadora"

Per lo studioso Alessandro Bucarelli non è un mito. Nel suo “Eutanasia ante litteram” uscito nel 2003, scritto con la collaborazione di Carlo Lubrano si afferma come la figura dell' “accabadora” non appartenga esclusivamente al mondo delle leggende popolari, ma abbia avuto un sicuro riscontro reale.
Era colei che metteva fine alle sofferenze dei malati incurabili nei piccoli paesi della Sardegna almeno fino agli albori del novecento. “Il malato veniva soppresso con un cuscino oppure la donna assestava il colpo de «su mazzolu» provocandone la morte.”A questa misteriosa e oscura figura, si ispira il regista e sceneggiatore Michele Sechi per il suo cortometraggio “Sa femina accabadora in penitentzia de morte”. Sechi, accostando fiction, documentario e racconto didattico, sceglie una storia originale riguardante questo personaggio. All'elemento tradizionale, ovvero la donna “risolutrice” dei dolori di un malato terminale, aggiunge l'ambiguità e la ferocia di chi non abdica agli odi tribali neppure davanti alla morte.Il film, supportato dalla bella fotografia cangiante di Gian Paolo Dessolis, sarà presentato a Sassari, al Teatro Smeraldo il 5 dicembre.
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Michele Sechi, con il suo corto, dimostra talento e passione per il cinema e, incontrandolo, gli abbiamo chiesto la ragione della contaminazione dei generi nel suo breve film.Ho sempre avuto una passione speciale per le storie popolari della nostra isola. Quando mi sono imbattuto in quella dell' «accabadora», ho subito sviluppato un soggetto su questa figura caratterizzata da un apparato leggendario e una dimensione anche reale. Il materiale raccolto era di tipo documentaristico, ma non volevo sembrare troppo didattico, così ho inserito anche elementi di fiction. Ero venuto a conoscenza di una vienda particolare svoltasi nella Barbagia di Belvì, dove viveva una “accabadora” che era, però, pure parte attiva di una faida tra famiglie del paese. La sua vendetta è rivelata, nel film, nella filastrocca tremenda ripetuta all'uomo a cui dovrebbe lenire definitivamente le sofferenze”.
In "Sa femina accabadora" c'è l'uso del fumetto (realizzato da Gavino Piredda), abbastanza originale nel contesto di un cortometraggio di questo tipo..Nell'ultima parte del lavoro mi piaceva coinvolgere meglio lo spettatore non utilizzando esclusivamente la voce fuori campo. Volevo “condire” il discorso con immagini non pesanti. Perciò, ho cercato il contributo di Gavino Piredda, peraltro un vecchio amico, che con le sue tavole ravvivasse il racconto.
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E' stata una scelta personale o del direttore della fotografia quella di passare in varie scene dal bianco e nero al colore?E' stata una mia esigenza che Gian Paolo Dessolis ha realizzato in maniera perfetta.
Quali sono le aspettative nei confronti di questo nuovo cortometraggio?Vorrei che gli spettatori potessero apprezzare il mio racconto; sarebbe un motivo per supportare il mio orgoglio e la mia volontà per continuare a esprimermi e a comunicare attraverso il cinema.


Scritto e diretto da: Michele Sechi
Prodotto da: Gian Paolo Dessolis per Jeides produzioni
Cast: Pierangelo Sanna, Chiara Ara, Maurizia Lay, Paolo Salaris, Margherita Sussarellu, Italo Pintore, Giampiero Mura, Giuseppe Fenudi, Massimo Soro
Genere: Drammatico
Formato riprese: mini DV
Durata: 14’ 45”
Lingua originale: sardo/italiano
Colonna sonora: Elena Ledda, Preghiera
Sinossi: Il film racconta di un arcaica usanza, qualla della femmina accabadora che, nel corso del secolo scorso, per fortuite circostanze, associò l'azione di una di queste donne ad un episodio di faida compiutosi nella barbagia occidentale. Contrariamente alle convinzioni dei familiari della vittima la terminatrice approfittò del suo ruolo per sfogare il suo rancore di disamistade: l'odio non ammette attenuanti.





- Questa lugubre figura -

Percorre i secoli per raggiungerci, una delle innumerevoli ed affascinanti figure della Sardegna arcaica: l' Accabadora. Questo termine, di origine castigliana, alla lettera ha il significato di porre fine, far terminare. Proprio questa era la funzione della Accabadora, cioè di porre fine alla vita di un ammalato grave, per il quale si pensava non ci sarebbe stata guarigione. Forse una forma ante litteram di eutanasia, sicuramente una pratica dettata dalla necessità in una società agropastorale nella quale, chi, come un malato terminale, procurava ai familiari chiamati ad assisterlo profondi disagi, impedendo loro di potersi dedicare al lavoro, quindi alla sopravvivenza. Tutto sembra librarsi tra religiosità e superstizione nello svolgersi di un rito crudo e violento ma inteso e imperniato nelle società sarda dei secoli scorsi.
Intorno a questa figura a manifestarsi, da sempre, controversi atteggiamenti di rispetto e disprezzo, per una donna alla quale si attribuivano anche poteri magici.
Ella interveniva, su richiesta dei familiari del moribondo, quando questi pativa lunghe e gravi sofferenze, dopo il tramonto del sole o alla notte. Alta e segaligna portava indosso una veste nera, il viso era semicoperto, con lei l' attrezzo del mestiere Su mazzolu, un martello intagliato nel legno di ulivastro che, avvolto in un panno di orbace, utilizzava per colpire la vittima sulla fronte, o alla nuca, o al torace. Forse questa la pratica più diffusa, ma non l' unica, considerate quella del soffocamento e quella mediante l' apposizione di un giogo da buoi.
Il rito, freddo ed articolato, prevedeva anche la recita di preghiere, ninne nanne o formule, con il fine di separare l' anima del moribondo dal suo corpo, e quindi liberarla.


- Il cortometraggio -

Il film, scritto e diretto da Michele Sechi, racconta di un episodio che, nel corso del secolo passato, per via di una fortuita circostanza, associò l'azione dell' accabadora della comunità ad un episodio di faida.
Si racconta che questo avvenne nella Barbagia di Belvì, dove l' accabadora, nota come "Il corvo", in quanto vedova era, per puro caso, anche stretta consanguinea di una famiglia in lotta per una vecchia faida familiare contro la famiglia dell' allora malato grave per il quale si rendeva necessario il suo intervento.
Contrariamente alla convinzione dei parenti del malato, secondo i quali la donna, forse per una ragione etica, non avrebbe mai associato le due cose, ad ella non parve vero di poter utilizzare il suo ruolo ufficiale per vendicare il proprio familiare trucidato nella faida, operando perciò apparentemente senza rancore, sfogò la sua rabbia solo quando, stringendo le mani al collo della sua vittima per portarla alla morte, recitò alcuni versi che lei stessa compose e che resero esplicita e premeditata la sua azione di vendetta. Una catena di sangue eterna e spietata quella delle faide che nemmeno la sterminatrice riesce a spezzare: l' odio non ammette attenuanti.



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